LA PAGELLA DI IAN McEWAN

photo McEwan Sicuramente Ian McEwan non faceva parte del campione di 17.000 britannici seguiti dal National Child Development Study per circa cinquant’anni: ed anche se ne avesse fatto parte, altrettanto sicuramente sarebbe stato un caso a sé.

E’ stata diffusamente citata una ricerca basata sulle informazioni reperibili in quel database condotta dai ricercatori Stuart Ritchie e Timothy Bates del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Edinburgo. La ricerca aveva dimostrato che, tra i diversi fattori presi in considerazione – riferiti a famiglia, ambiente sociale, studi scolastici – due risultavano determinanti  sotto il profilo predittivo del livello di  benessere cui sarebbero pervenuti i soggetti studiati: i rendimenti scolastici dimostrati, da piccoli, nella lingua nazionale, l’inglese, e in matematica. Gli scolari che a 7 anni avevano conseguito i voti migliori in queste due materie, difatti, risultano essere stati coloro che, raggiunta l’età adulta, godono di redditi più elevati, abitazioni più belle e occupazioni migliori. Avendo scartato l’influenza di altri fattori concomitanti, i ricercatori hanno quindi ipotizzato che i rendimenti in quelle due materie dipendano essenzialmente da fattori genetici.

Ora, tra i documenti facenti parte dell’archivio privato dPagella McEwan utexas.edui McEwan acquisito recentemente dall’Harry Ransom Center dell’Università del Texas, figura una pagella  scolastica dello scrittore  – anche se, in effetti, riferita all’età di 10 anni (altri reperti interessanti sono esposti sul sito del Ransom Center).

Dalla pagella risulta chiaramente che McEwan,  pur ottenendo il suo voto migliore in inglese,  non si spingeva al di là di un modesto “B(uono)”, condizionato però dal giudizio che lo valutava talvolta trascurato, sciatto (careless!). In matematica, poi – come in tutte le altre materie – superava di pochissimo la sufficienza (C+).

Lo scrittore può quindi essere considerato la prova vivente – e particolarmente incoraggiante per tanti dei nostri scolari – che in effetti non è impossibile raggiungere traguardi superiori a quelli cui sembreremmo essere destinati in base ai condizionamenti genetici.

A temperare questa nota ottimistica,  però, mi coglie un dubbio. 

Che narratore di eccellenza ancora maggiore, e che narrazioni ancora più avvincenti e godibili, avremmo oggi se il grande  Ian McEwan,  da ragazzino,  avesse accolto il monito consueto che certamente anche i suoi insegnanti gli avranno rivolto: “dovrebbe applicarsi di più”?

IL VOTO DEL 25 MAGGIO: A PROPOSITO E A SPROPOSITO – (BENTORNATA, SPERANZA!)

Ho letto ed ascoltato diverse analisi, interpretazioni, valutazioni del voto alle europee che ha marcato una netta vittoria del PD guidato da Renzi, superiore alle aspettative più favorevoli, e una sconfitta del movimento di Grillo,  anch’essa di dimensioni impreviste.

Anche scartando quelle più palesemente travagliate da un incontenibile livore nei confronti di Renzi e del Partito Democratico, a me sembra che prevalgano quelle bizzarre, spesso enunciate da personaggi in cerca perenne di originalità (tipo Freccero, per intendersi); per non parlare di quelle che s’accomodano su equivalenze schematiche quanto risibili del tipo Renzi=neo Berlusconi e PD= neo DC; o di quelle che ritengono inevitabile, una volta scomparse le ideologie prevalenti nel tempo che fu, la caratterizzazione assolutamente emotiva ed irrazionale, se non addirittura corrotta,  del voto (tesi espressa, sorprendentemente, da Amalia Signorelli, antropologa culturale a Ballarò).mappa20132014-630x414

 Convincenti, insomma, non ne ho viste parecchie.

Tra queste mi piace citare quella di Bracconi sul suo blog su Repubblica. Una interpretazione che fa giustizia delle tesi al ribasso o complottarde che atttribuiscono tutti i cambiamenti di opinioni, valutazioni, adesioni di opinionisti ed  elettorato, unicamente ed inevitabilmente ad opportunismo interessato e/o a vocazione conformista.

Il pregio dell’analisi di Bracconi mi sembra quello di avere i piedi ben per terra e il cervello in uso appropriato.

Finalmente siamo di fronte alla constatazione del fatto – tanto banale quanto trascurato – che l’elettorato di un partito e di un leader politico possa essere un elettorato composito, Acccanto a coloro che si riconoscono al 100% in  un partito e nella sua dirigenza pro-tempore, vi sono coloro che mantengono una fiducia di fondo nell’uno e/o nell’altra anche se da posizioni diversamente critiche, e infine coloro  che, in assenza di qualsiasi vincolo di appartenenza, convengono sul fatto che la proposta e le prospettive da esso offerte siano le migliori in campo, nella situazione e nel momento dati, od almeno quelle in grado di scongiurarne di assai peggiori. Elettori, cioè, che scelgono di non incaponirsi in un voto identitario dagli effetti pratici inconcludenti, o controproducente persino sotto il profilo delle cosiddette scelte di campo, né, tanto meno, di arroccarsi nell’indifferenza, nella protesta o nello sdegno di un astensionismo inevitabilmente sterile.

Così è, e dovrebbe essere, in una democrazia normalmente funzionante, in cui c’è e dovrebbe esserci spazio, con  riguardo a partiti e movimenti in lizza,  per i militanti a tempo pieno, quelli occasionali o a tempo ridotto, e quelli che militanti non sono e non intendono essere. Con la piena libertà per tutti di trasmigrare da una categoria all’altra in base a scelte individuali che non possono essere considerate, pregiudizialmente, dettate da interessi e motivazioni abietti o da ottundimento della ragione.

Anche sulla base di queste considerazioni mi viene da ripetere, come nel momento in cui si è saputo del risultato di queste elezioni: bentornata, speranza!